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Collezionare autografi nell’Ottocento – l’immensa collezione di Adrian Joline

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Se c’è un fascino a cui non riesco proprio a resistere, è quello delle lettere antiche. Bastano l’eleganza di un grafia signorile, un mistero talvolta celato da poche indecifrabili righe, ed ecco che mi pare impossibile non tuffarmi indietro nel tempo e immaginare quella dama, o quel gentiluomo abbigliato di tutto punto, seduto alla scrivania al lume della candela. Ma di certo non si tratta di una passione insolita nè moderna: da secoli l’uomo colleziona manoscritti, lettere e autografi. Durante i miei vagabondaggi online, mi sono imbattuta in un volume intitolato Meditazioni di un collezionista d’autografi scritto da un avvocato di New York di nome Adrian R. Joline nel 1902. Inevitabilmente dopo qualche giorno era tra le mie mani. 

Il libro è scritto “negli intervalli di piacere di una vita lavorativa”, in un pomeriggio di pioggia, con i libri e la collezione a portata di mano. Joline vive in una casa ormai straripante, che da 10 anni continua a mettere in ordine, eppure nulla è mai in ordine. Il racconto non segue un ordine logico, è una sorta di interminabile flusso di coscienza in cui l’autore si perde tra considerazioni, descrizioni, ricordi e riflessioni, insomma ci mette a parte di ogni emozione scaturita dai pezzi migliori della sua collezione, senza filtro. 

Ma quali autografi avrà mai potuto collezionare nel 1902? Va premesso che il libro non riporta una lista dei suoi pezzi di maggior valore, ma i suoi pensieri privi di logica disseminano per tutto il volume dei dettagli che lasciano a bocca aperta. Quindi, lasciate che vi stupisca. Tra i manoscritti in suo possesso, una lettera della Regina Vittoria a Lord Melbourne, una di Napoleone III, di John Keats, Edgar Allan Poe, Charles Darwin, Walt Whitman, T. N. Talfourd, Charles Reade, Mark Lemon, Charles Lamb, Leigh Hunt, Florence Nightingale, Jonathan Swift, Washington Irving; il manoscritto completo di Black di Dumas figlio, “Fini le 24 Novembre à 5 heures du soir – A. Dumas” e ben 7 pagine di un manoscritto allora inedito di Edgar Allan Poe. 

La prima cosa che salta all’occhio dall’elenco incredibile –– oggi degno del più prestigioso dei musei –– è che il “vero” collezionista di autografi nell’Ottocento collezionava lettere, insomma autentici manoscritti, non semplici firme. Joline è un fedelissimo, tanto devoto all’altare dell’arte autografica, che è risentito ogni qualvolta la si tratti senza rispetto. Cominciare, oggi come allora, era semplice: soltanto confrontandosi con la ricerca dei pezzi più rari si cominciava a comprendere la gravità della situazione in cui ci si era cacciati e a “nutrire un profondo senso d’inadeguatezza”.

Ma quanto poteva costare un pezzo mediamente raro? Joline ci parla approssimativamente di 80 $, che oggi corrisponderebbero più o meno a 2.000 €, il che ci mostra che il valore di mercato per questi oggetti è rimasto per lo più invariato, se consideriamo il prezzo medio di lettere di una, massimo due facciate, dei grandi autori ottocenteschi. Tra tutti i campi, quello della letteratura era anche allora ritenuto il più affascinante, eppure i pezzi più costosi erano quelli dei politici, poiché generalmente il vero collezionista che decideva di avventurarsi in quel campo si lanciava alla raccolta di manoscritti di tutti i politici di uno specifico partito, governo o similari, ritrovandosi a combattere per compiere l’impresa impossibile di completare il set. E i più rari non erano i più famosi: per esempio, Washington era costoso ma non raro. Chiunque conservava le lettere di un uomo costantemente sulla cresta dell’onda per decenni, ma solo pochi serbavano quelle di personaggi acclamati per poco tempo e poi dimenticati.

Joline ci racconta di numerosi saggi e volumi interi dedicati a questa “febbre” e alla sua nascita, che ci porta sino quasi all’origine dell’umanità civilizzata: pare che nel terzo secolo a.C. Tolomeo III promise di procurare grano agli ateniesi solo se gli fosse concesso di prendere in prestito i manoscritti originali di Eschilo, Sofocle e Euripide per farne delle copie, cosa che accadde, con la conseguenza che furono restituite le copie e mai gli originali. Joline non può che comprende tale follia, ben conscio che il collezionismo alimenti l’invidia, l’odio, il rancore e la scortesia, poiché il collezionista non può non essere geloso della collezione altrui. Joline non prende in prestito, perché conosce bene la tentazione a cui si troverebbe esposto; non presta perché nessuno più di lui è avvezzo alle cattive abitudini della sua “specie”. Non biasima pertanto chiunque veda il collezionismo come “una stranezza a cui si concedono uomini saggi senza alcuno scopo serio, e per la quale si dispiacerebbero se solo si fermassero a riflettere”, ma sa altrettanto bene che in sé l’interesse per gli autografi non ha nulla di terribile o strano. Propriamente coltivato, è uno dei sentimenti più nobili. 

Spesso succede che il vero collezionista cada nel grave errore di sentirsi affranto al ricordo dei metodi spesso sgradevoli adoperati dagli “pseudo–collezionisti”. Un collezionista serio non scrive mai a nessuno per richiedere un autografo, a meno che non si tratti d’una personale conoscenza. Chiedere autografi era una moda che si accompagnava a banali espedienti ben noti a tutti i grandi personaggi: qualcuno s’inventava che fosse “per la sua signora”, altri chiedevano l’anno di pubblicazione di una certa opera, altri ancora manifestavano l’impellente necessità di conoscere l’indirizzo di un intimo amico del suo corrispondente. Va anche ammesso però, che laddove molte star ignoravano tali richieste mentre altre le onoravano con umiltà, v’erano anche i finti modesti che, nel momento stesso in cui rispondevano per esporre il loro disappunto, onoravano la richiesta. Lascia inoltre perplessi immaginare che molti si avventurassero a mutilare i manoscritti ritagliando la firma dal resto della lettera, violandola in maniera del tutto irrazionale e ingiustificabile, spiega Joline.

Non sappiamo con esattezza da quanti anni Joline collezioni, quel che è certo è che dalle sue riflessioni scopriamo che molti, come lui, hanno portato avanti la stessa passione per decenni, provando a chi considerava il collezionismo una semplice “bolla”, che si sbagliava di grosso. Joline ci ricorda che, come tutti i veri hobby profondi e sentiti, è difficile scrollarselo di dosso. Prende anzi in prestito una citazione di un certo Signor Evarts secondo il quale “la differenza tra un cavallo e un hobby è… tutta la differenza del mondo! Si può scendere da un cavallo, ma non si può scendere da un hobby!” Un hobby: la salvezza della società moderna, quella fiamma che ci assicura momenti di gioia e ci protegge dalla monotonia della vita. E l’emozione che prova il collezionista quando accoglie un nuovo pezzo, sia che l’abbia ricevuto in dono, gli sia arrivato direttamente dall’autore o l’abbia acquistato, be’ è troppo sacra per essere raccontata. E non gli serve diventare popolare raccogliendo lodi e menzioni sui giornali, perché certe frivolezze non portano che una gioia transitoria, mentre quella del collezionare è eterna

Joline non può fare a meno di chiedersi se la “mania della dattilografia” avrebbe continuato a impossessarsi dell’umanità. I grandi uomini del suo tempo ormai non scrivevano più lettere, limitandosi a dettare i propri pensieri agli stenografi e portando i poveri collezionisti a non avere strumenti per verificare se il triste prodotto di quelle infernali macchine da scrivere non fosse semplicemente stato firmato da un segretario qualsiasi, magari addirittura non a mano, ma con un timbro di gomma. Non gli pareva poi così difficile immaginarsi Washington, Jefferson o John Adams degradare in tal maniera l’arte della corrispondenza. Definisce la macchina da scrivere come “la distruttrice dell’universo autografico, la fossa del collezionismo artistico e la tomba dell’ambizione”

Ma la macchina da scrivere non è l’unico ostacolo che il collezionista trova lungo il suo cammino. La sofferenza più grande si abbatte sul povero disgraziato quando altre passioni, come quella per i ritratti o le illustrazioni, lo portano fuori dai binari. A quel punto non gli resta che imporsi severamente di rimanere fedele a un’unica passione e non esporsi a ricerche pericolose. Ogni deviazione non fa che dividere l’attenzione, disperde le energie e sparpaglia le forze del fremente cacciatore. Per Joline è meglio non tuffarsi nella raccolta di illustrazioni da affiancare alle lettere anche per mantenerne l’individualità, dato che un’illustrazione sembra sottrarre qualcosa all’assoluta purezza di un manoscritto, a meno che non si tratti di un ritratto rarissimo.

Il secondo, terribile, motivo di disagio è il terrore di possedere dei falsi. Il più famoso falsario di autografi del XIX secolo pare fosse un certo Robert Spring, morto nel 1876, che si adoperò per produrre copie delle firme di molti grandi scrittori. Ai tempi di Joline tuttavia la vera minaccia non erano più i falsi, poiché produrne di convincenti era costosissimo, piuttosto gli omonimi, oppure le copie redatte da altre mani. Gli sarebbe di certo piaciuto uno statuto per impedire a due personaggi di spicco di chiamarsi (e firmarsi) allo stesso modo! Una volta che nel collezionista si instilla il dubbio circa un pezzo, tutto è perduto. 

Ma la più grande, insormontabile paura del collezionista, è quella della fine. Perché oggetti tanto preziosi sono destinati a sopravviverci, e un giorno il nostro ruolo di custodi temporanei finirà. 

Nessuna mai sarà così profondamente affezionato ai miei tesori quanto lo sono io, e in un giorno poco lontano saranno dispersi tra i partecipanti di quell’asta inevitabile che attende ogni collezione –– salvo quelle destinate all’eterna sepoltura in una biblioteca. Il mio legame con essa sarà perso e dimenticato. Li guardo come un genitore guarderebbe un figlio che gli tocca lasciarsi alle spalle. Con la differenza però che un figlio potrà serbare il ricordo dell’affetto ricevuto, mentre i nostri amati manoscritti e i libri rimarranno per sempre perfettamente inconsapevoli dell’amore con cui sono stati preservati. Un libro raro di tanto in tanto conserva i segni d’un proprietario devoto, mentre un manoscritto raramente richiama alla memoria il fortunato possessore. […] Confido che possano finire nelle mani di un vero collezionista, un autentico antiquario […] in grado di apprezzare un oggetto degno dell’affetto d’un appassionato di letteratura e storia.

Joline morì nel 1912 e tra il 15 e il 18 dicembre del 1914 la sua collezione fu messa all’asta.  Con il cuore spezzato ho fatto alcune ricerche che mi hanno rapidamente condotta al catalogo, che potete leggere cliccando qui. Migliaia di manoscritti dei più grandi dell’Ottocento, che hanno continuato a vivere in altre mani, e ad allietare altri cuori, per decenni ancora. Secoli, speriamo. Intanto a noi basta chiudere gli occhi per sentire la passione di Joline che vibra ancora tra le pieghe del tempo. 

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Sei sul blog di Laura Bartoli

Da anni studio, colleziono e traduco Charles Dickens. Sono una digital strategist appassionata di libri antichi e viaggio alla ricerca dei luoghi dove il tempo si è fermato all’età vittoriana. Clicca qui per conoscermi meglio!